
I dati ci sono, i finanziamenti sono stati previsti e stanziati, l’Unione europea ci metterà del suo. Siamo in attesa di scoprire quale ruolo avrà la burocrazia, un ulteriore fardello che i cittadini davvero non si meritano
Torniamo sul sempre preoccupante argomento del rischio sismico per offrire una lettura che deriva da una nota del Centro Studi dell’Ance su base Istat, e riguarda la situazione dello stock edilizio delle zone interessate – rischio sismico molto o abbastanza elevato, contraddistinte dalla protezione Civile con le cifre 1 e 2 – perché è maggiormente possibile farsi un’idea precisa della situazione.
I comuni interessati sono circa 2.900, dei quali 700 ricadenti in zona 1 e 2.200 in zona 2. In particolare, in Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto sono presenti comuni esclusivamente in zona 2.
Lo stock edilizio presente in zona 1 e 2 risulta costituito da circa 6,2 milioni di edifici, di cui 1,1 milioni si trovano nella zona a rischio più elevato e 5,1 milioni nell’area a rischio 2. Ø I dati Istat permettono, inoltre, di distinguere nel totale degli edifici, gli immobili o complessi di immobili utilizzati: circa 1 milione nella zona 1 e 4,8 milioni nella zona 2 (per un totale di 5,8 milioni). Ø L’89,2% degli edifici utilizzati è ad uso abitativo: si tratta di circa 5,2 milioni di immobili, per lo più concentrati nella zona 2, pari a 4,3 milioni. Nei comuni della zona 1, in particolare, il 61,1% degli edifici residenziali utilizzati è costituito da un’unica unità abitativa, mentre nella zona 2 la quota è del 51,6%. Ø Il restante 10,8% (circa 630mila edifici) degli edifici utilizzati ha destinazione non residenziale, con 113mila immobili collocati nella zona 1 e poco più di 500mila in zona 2.
Lo stock abitativo delle zone a maggior rischio sismico risulta molto vetusto: il 74% degli edifici residenziali è stato costruito prima del 1981. Pertanto, 3,8 milioni di immobili sono stati edificati prima della piena operatività della normativa antisismica per nuove costruzioni del 1974 e dei relativi decreti attuativi emanati negli anni successivi. Di questi 3,2 milioni di edifici abitativi si trovano in zona 2 e poco meno di 700mila in zona 1.
Questo è il quadro, e certamente i motivi di preoccupazione non mancano. L’impegno del governo verso una politica di intervento è nota e anche le misure finanziarie per sostenere non solo la ricostruzione ma anche la prevenzione sono altrettanto definiti. Non ultima, l’Europa ha deciso di intervenire a sua volta con misure di sostegno.
Ora, siamo in mano alla burocrazia, e non è una bella notizia.
