
Fra promesse, prospettive e contatti con la realtà, siamo tutti in spasmodica attesa di capire come andrà a finire: centinaia gli emendamenti che il governo dovrà verificare prima di ricevere un esito concreto.
Sommando incertezze a incertezze, e sapevamo che questo mese di giugno sarebbe stato tanto fondamentale quanto controverso sulla reale definizione del valore e dell’impatto finale del Bonus 110% sulla nostra economia di settore, i dibattiti parlamentari di questi giorni dedicati al decreto sul sostegno dell’economia – che contiene anche l’oggetto bonus – devono fare i conti, per il momento, con circa 500 emendamenti.
Se da un lato, quindi, si esprime volontà, come abbiamo già ricordato e per esempio, di aumentare la tipologia di fabbricati che possono utilizzare il bonus, oppure di estendere l’opportunità a tutto il 2022, quindi non più solo al 2021, ecco che ci troviamo di fronte a più di un enigma.
Tanto per formulare qualche ipotesi, se qualche emendamento dovesse alla fine modificare le percentuali del beneficio fiscale, sarebbe la stessa cosa in termini di appetibilità? Poiché la maggior parte dei progetti di ristrutturazione è ferma, in attesa che parti il superbonus, che cosa ci dobbiamo aspettare in caso di revisione della percentuale?
Ancora, come è logico che sia, non esiste categoria produttiva e attività lavorativa che non si stia lamentando con il governo per la poca attenzione ricevuta. Logico che si arriverà a una mediazione, oppure si renderanno le cose difficili per tutti, cercando di disincentivare le domande. E, senza andare troppo lontano nello spazio e nel tempo, pare che per avere i promessi finanziamenti alle imprese (che dovevano essere agevolati…) si debbano offrire garanzie cui forse solo Bill Gates potrebbe adempiere.
L’avanspettacolo (con tutto il rispetto per l’avanspettacolo) della politica non si concede soste. Trovare le coperture finanziarie per mantenere tutte le promesse immaginiamo sia il vero problema. Come al solito, del resto.
