Quante cose si potrebbero fare se la tassazione fosse più clemente? Il Cgia fa i conti all’erario e siamo contenti di essere ancora vivi
Gli acuti pensatori che dispensano perle di saggezza durante i convegni, invitando l’imprenditoria commerciale a rivoluzionare il suo modo di fare, in sostanza adattandosi all’andazzo di matrice orientale che vuole l’apertura dei punti vendita 24 ore su 24, 7 giorni la settimana, per 12 mesi l’anno, non sanno (o fingono di non sapere) che il prelievo (in senso stretto e figurato) fiscale magnificamente personificato dalle tasse, sottrae all’imprenditoria circa 100 miliardi di euro all’anno.
L’indagine del Cgia indica nell’Ires il top della gamma, con 31 miliardi di gettito, seguita dall’Irpef sul reddito delle persone fisiche (23,5 miliardi), Irap (20,9 miliardi) e tributi locali (oltre 13 miliardi). Il totale è una somma “per difetto”, perché non considera le tasse che si pagano sui rifiuti, l’imposta di registro, l’imposta di bollo, canone Rai, concessioni governative e concessioni edilizie.
Qualcuno potrà obiettare che rispetto al 2007, il peso delle tasse è sceso di 18,8 miliardi di euro. A questo qualcuno va ricordato che da quell’anno le imprese che hanno chiuso sono state 168.000.
È chiaro e ampiamente condivisibile che il commercio debba rivedere gran parte del suo modo di essere. Ed è altrettanto palese che rimanere aperti quando le persone non sono al lavoro è l’evidente successo di pubblico dei centri commerciali e della grande distribuzione organizzata. È però anche lecito supporre che una tassazione generale meno vampiresca potrebbe liberare risorse da investire proprio nella ristrutturazione di un mercato, quella della distribuzione per esempio, che di ristrutturarsi e di ricollocarsi ha un gran bisogno. E per essere onesti fino in fondo, magari il problema non è solo quello delle tasse e della conseguente difficoltà ad investire,, perché la mentalità acquisita non è facile da cambiare. Però incide. Parecchio.
