Il motto “demolire per ricostruire” dilaga in molti paesi d’Europa, più con spirito sociale che rigidamente costruttivo. La rinascita delle periferie è un tema sempre all’ordine del giorno
La battaglia contro le abitazioni di periferia, spesso inqualificabili mostri architettonici, sta contagiando un po’ tutta Europa, ovviamente Italia compresa. Anche i condomini popolati inglesi stanno per essere attaccati dalle ruspe del governo di Sua Maestà, pilotate dal primo ministro David Cameron, che ha stanziato all’uopo quasi 200 milioni di euro (che, a occhio, non sembrano tanti, ma si parla solo di due zone, una a Londra e una a Manchester). La cifra dovrebbe garantire l’abbattimento e la ricostruzione degli alloggi, ma soprattutto dovrebbe trasformare le diaboliche periferie inglesi, regno di hooligan in senso lato, donando loro un po’ del fascino dei giardini di Kensington.
“Demolire per ricostruire” è uno slogan che conosciamo bene anche noi. Se ne parla spesso ma è ovvio che si tratta di un discorso complesso. Tutto bene se si desidera garantire lavoro imperituro al settore – i caseggiati oggetto dell’iniziativa sarebbero più o meno infiniti – e forse bene è anche offrire la possibilità ai residenti, spessissimo in affitto, di poter poi acquistare la propria casa, a prezzi molto calmierati. Probabilmente, però, non è una brutta casa che determina la brutta gente, così come un elegante palazzo non per forza ospita la creme dell’umanità. Evidentemente, la riqualificazione delle nostre città altro non è che la necessità fisiologica di metter mano a opere di edilizia selvatica e delirante, figlia del grande popolamento delle grandi città per ragioni lavorative, che dopo cinquant’anni non stanno più in piedi. Chiaramente, la “casa popolare” è inevitabilmente più brutta di un prodotto del “social housing”, già dal suono della definizione. Ma ci accontenteremmo tutti di case semplicemente costruite in modo sano e onesto, al di là delle definizioni.
