Alcuni dati del Cresme recentemente presentati dal Consiglio nazionale degli Architetti, mostrano una preoccupante criticità degli investimenti in infrastrutture ed edifici. Il settore della ristrutturazione ha potenzialità di crescita enormi
Il capitale edilizio e quello infrastrutturale sono entrati in un ciclo di obsolescenza crescente. Dei 12,2 milioni di edifici residenziali, 7,2 milioni (il 60%) è stato costruito prima del 1980, e ha o sta per avere più di 40 anni; 5,2 milioni (42,5%) ha più di 50 anni. Più della metà delle abitazioni – oltre 16 milioni – sono state realizzate prima del 1970. La produzione media annua di edifici residenziali in Italia è passata da quasi 200.000 edifici all’anno negli anni ’60 e ’70, a meno di 29.000 tra 2001 e 2018.
Sono dati che vanno a confermare sentenze congiunturali note, ma ciò che li rende attuali e sempre interessanti, anche se non in modo particolarmente positivo, è l’evidenza della pesante contrazione degli investimenti, non solo nelle infrastrutture ma anche nel patrimonio immobiliare (nella sua più ampia accezione). Non tutti investono nella propria casa e la situazione di cui sopra non può che peggiorare.
Il comparto delle costruzioni è ancor oggi l’unico settore economico che non è stato in grado di riprendersi: questa è certamente una delle cause della incapacità del paese di crescere economicamente. La caduta è stata drammatica: rispetto al 2018, gli investimenti totali, a valori deflazionati, sono pari a -30,1% rispetto al 2007, ma -8,4% rispetto al picco minimo toccato con tangentopoli nel 1994 e al picco minimo toccato nel 1982 con la “seconda crisi petrolifera”. Complessivamente gli investimenti nel settore delle costruzioni nel 2018 sono stati pari a quelli del 1967. La ripresa dell’economia italiana non potrà avviarsi senza la ripresa delle costruzioni. Ogni euro speso nelle costruzioni genera 3,4 euro di volume d’affari distribuito sull’80% dei settori dell’economia. Il comparto immobiliare rappresenta quasi un quinto del PIL.