Un po’ di delusione è il sentimento minimo (e anche eufemistico) che accompagna la decisione di interrompere il piano di rigenerazione urbana, e i lavori già programmati, finanziati e in parte iniziati grazie anche al contributo dei privati
Prende sempre più corpo il timore che l’idea del governo di sospendere i fondi per i progetti già avviati o approvati e co-finanziati dai privati, relativamente al recupero delle periferie di un centinaio di città italiane, venga definitivamente approvata.
L’emendamento, già approvato dal senato, passa adesso alla camera, e a meno di improbabili – ma sempre possibili – colpi di scena, il piano di rigenerazione, che dovrebbe essere tenuto nella debita considerazione nell’ambito delle politiche sociali, andrà a farsi friggere.
Al di là dei benefici effetti sulla congiuntura di settore che non stiamo a elencare, il programma riguardava risanamenti edilizi, strade, sicurezza idrogeologica e sismica, scuole, giardini, e così via.
Ma la cosa peggiore, anche a livello di credibilità delle istituzioni – se così vogliamo definire l’affidabilità dei governanti, qualsiasi sia il loro colore – è che il piani di rigenerazione delle periferie era (è) un accordo garantito dallo stato, dove privati ed enti locali si sono impegnati con risorse di varia natura e genere.
Si parla sempre con entusiasmo di partenariato “pubblico – privato”, ma sul pubblico non è sempre semplice (e razionale) poter contare. Se non si desidera procedere con il programma, almeno si rispettino gli sforzi di chi sino a oggi si è impegnato a cercare di dare dignità sociale, ancor prima che infrastrutturale, portando a compimento le opere già programmate e stanziate.