Le inchieste sullo spreco di denaro pubblico pongono il mondo delle costruzioni in primo piano. Se ne parla da decenni, ma non cambia mai niente
Qualcuno di voi lettori avrà certamente seguito in questi giorni alcune notizie relative agli sprechi di denaro pubblico che si sono guadagnate i titoli dei telegiornali, così come sono state oggetto di approfondimenti in alcuni programmi. Al centro di tutto ci sono le costruzioni, le grandi opere incompiute, i faraonici progetti dimenticati che, messi insieme, e potendo recuperare i denari scialacquati, ci eviterebbero qualche finanziaria.
Al di là dello sdegno che ognuno può più o meno liberamente provare, uno sdegno che diventa solenne incazzatura quando il cronista intervista qualche pubblico amministratore, queste inchieste servono a confermare una volta di più la complessità gestionale e anche l’arretratezza culturale, ma anche semplicemente civica, con le quali noi tutti dobbiamo forzatamente convivere.
Sono decenni che continuiamo a ripetere le stesse cose, che continuiamo a vedere e rivedere le stese immagini, che auspichiamo le stesse soluzioni, evidentemente inapplicabili o inadatte. E se considerare queste inefficienze come male necessario, metterle insomma nel preventivo della gestione dello stato, possa apparire tanto cinico quanto pratico, è evidente che moralmente schierarsi a favore di questa soluzione non sia possibile.
La preoccupazione allora è quella di comprendere quanto il sistema deficitario che ci ruota intorno interferisca nella nostra realtà lavorativa di tutti i giorni. Lo sdegno di cui sopra deve diventare energia positiva e permetterci di creare, ognuno nel suo piccolo, oasi di correttezza e di serietà, di lavoro positivo, perché magari, insieme, questo mondo così complicato, delinquente e magari anche un po’ marcio, alla fine potremmo anche riuscire a bonificarlo, senza dover per forza attendere interventi dall’alto che non arriveranno mai.
