I nuovi scenari congiunturali, intesi come numeri e percentuali, non devono distrarre da un altro aspetto dell’attività edile forse ancora più importante: immaginare la natura e i materiali che saranno i protagonisti del mercato dei prossimi anni
Il prossimo 24 novembre, a Milano, il Cresme presenterà la congiunturale 2016. Così come avviene in occasione di appuntamenti similari, per esempio la congiunturale dell’Ance, o le ricerche dell’Oice e di altri centri studi, la curiosità per questo genere di informazioni non manca: sapere che cosa ci aspetta è ovviamente utile per delineare strategie, immaginare scenari, definire investimenti.
Sappiamo che in Italia, a differenza di altre parti d’Europa, per rimanere sintonizzati con i mercati più vicini, le nuove costruzioni sono ancora al palo. Sappiamo che i lievi segnali di ripresa riguardano quasi esclusivamente il recupero e la ristrutturazione, anche perché gli investimenti del governo nei mesi trascorsi sono stati orientati, quasi forzatamente, a sostenere le opere divenute indispensabili a causa delle tristemente note calamità naturali e a mettere una pezza all’incuria trentennale cui è stato relegato il patrimonio abitativo nazionale.
Il Cresme parlerà anche di una seconda rivoluzione industriale dopo quella ottocentesca del cemento armato, e questo per il settore della distribuzione è un argomento vitale, perché i nuovi modelli costruttivi determineranno anche la tipologia, la natura dei prodotti che i clienti vecchi e nuovi ci chiederanno.
Al di là dei numeri e delle percentuali, oltre il limitato valore rappresentato da un +1% o da -1% – la differenza oggi è comunque significativa, ma dimentichiamo tutto ciò per un attimo – ciò che davvero ci deve preoccupare, diciamo interessare, è quale strategia imboccare per non trovarci, ancora una volta, spiazzati. Magari mi sbaglio, ma a pelle non mi sembra poca cosa.
