Scende drasticamente in numero delle imprese di costruzione, 80.000 in meno rispetto al 2008. Le più sofferenti sono quelle maggiormente strutturate
Secondo i dati Istat, nel settore delle costruzioni operano 549.846 imprese pari al 12,5% del totale (per circa 1,4 milioni di addetti, 2,6 per impresa, e il 96,2% delle imprese ha meno di 10 addetti). Nelle costruzioni, il 60% delle imprese, pari a circa 330mila, risulta avere un addetto, mentre nella fascia 2-9 addetti si concentra un’ulteriore quota rilevante del tessuto produttivo settoriale (il 36,2%). Nelle successive due classi dimensionali (10-49 addetti e maggiore o uguale ai 50 addetti) ricade rispettivamente, il 3,6% e lo 0,2% del totale.
La crisi, solo nel 2013, ha fatto chiudere i battenti a circa 22.500 imprese. Fra queste, più penalizzate quelle con più di un addetto, mentre le microimprese hanno avuto una minore flessione, ma si tratta comunque di singoli artigiani che hanno dovuto o voluto chiudere la loro attività. È solo la punta di un iceberg che racconta di una flessione decisamente traumatica delle attività. Gli anni della crisi, quindi fra il 2008 e il 2013, hanno visto la chiusura di oltre 80.000 imprese, solo in Lombardia circa 17.000.
Altri segnali negativi riguardano la consistenza della manodopera per singola impresa. Se nel 2008 la media di affetti per impresa era di 3, nel 2013, come indicato si era scesi a 2,6. L’analisi sottolinea una certa preoccupazione per la perdita, e il riferimento è alle imprese più strutturate, di un know-how lavorativo che va a impoverire la qualità globale dell’offerta.
Forse, ma forse no. La crisi, pur con tutti i danni che ha provocato, ha anche evidenziato i limiti di un settore produttivo non sempre al passo con l’evoluzione delle attese da parte della committenza. Più probabilmente, resiste e magari anche prospera chi meglio opera.
