Il Consiglio Ecofin ha autorizzato definitivamente l’applicazione in Italia del meccanismo della scissione dei pagamenti fino al 31 dicembre 2017. Confermati inoltre, informa l’Ance, la non rinnovabilità della misura e l’obbligo per lo Stato italiano di presentare dopo 18 mesi dall’adozione del meccanismo un rapporto alla Commissione Ue sui tempi di rimborso dei crediti Iva
Non bastavano i ritardi colossali delle amministrazioni pubbliche nel saldare i fornitori. Ora a complicare la vita delle imprese è giunto pure lo split payment, il meccanismo introdotto con la Legge di stabilità 2015 per il pagamento dell’Iva da parte della Pubblica amministrazione. Gli enti statali, in buona sostanza, non verseranno l’Imposta sul valore aggiunto all’azienda fornitrice ma direttamente all’Erario, così che le aziende si troverà con meno liquidità in tasca e senza la possibilità di compensare un credito.
L’articolo 1 comma 629 lettera b) della legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge di stabilità), ribattezzato “Operazioni effettuate nei confronti degli enti pubblici”, modificando a sua volta l’articolo 17-ter del Dpr 633/1972, ha introdotto il meccanismo della scissione dei pagamenti. In sostanza, gli enti statali centrali e territoriali, le Asl, le Camere di commercio, le Università e altri compresi nel provvedimento, dall’1 gennaio 2015 una volta ricevuta la fattura devono pagare all’azienda fornitrice di un servizio o che ha ceduto o prestato un bene, soltanto l’imponibile dell’Iva, trattenendo invece l’ammontare dell’imposta per poi versarla in un secondo momento direttamente all’Erario. Da qui l’idea della scissione del pagamento: il corrispettivo del servizio o del bene viene saldato all’azienda che però non incassa l’Iva, nonostante l’abbia prevista nella sua fattura, e solo in un secondo momento potrà chiederne il rimborso così da attuare il meccanismo della compensazione.
Nelle intenzioni del governo, e in particolare del ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan, lo split payment dovrebbe garantire all’Erario il versamento diretto (e quindi sicuro) dell’Iva da parte dello Stato, scongiurando l’eventuale coinvolgimento della Pubblica amministrazione in situazioni di frode. Si vuole quindi evitare che le aziende fornitrici si tengano stretta e non versino l’Iva a debito incassata a loro volta da aziende pubbliche o direttamente dallo Stato.
È infatti la lotta all’evasione fiscale il principale obiettivo di questo sdoppiamento del pagamento: vedendosi tolta la funzione di pagare l’Iva, le imprese fornitrici si trovano impossibilitate a frodare il Fisco intascandosi quelle somme. In tal modo, ragiona l’esecutivo, le casse statali si gonfieranno a suon di imposte pagate e i presunti furbetti si ritroveranno senza margini di manovra.
Ma le imprese non sono d’accordo: dalla petizione lanciata dai costruttori dell’Ance all’intervento dei Giovani di Confapi, fino alla mobilitazione di Confartigianato, lo split payment ha riscosso soprattutto critiche e polemiche tra le imprese, convinte che con questa norma introdotta per combattere l’evasione fiscale in realtà si finisca (ancora una volta) per penalizzare chi, nonostante tutto, cerca di creare lavoro. Non potendo incassare l’Iva, diversi imprenditori che lavorano con la Pubblica amministrazione non riusciranno in seguito a compensarla, danneggiando quindi la loro liquidità già fortemente compromessa dal credit crunch. Senza dimenticare che il meccanismo dello sdoppiamento prevede un ulteriore adempimento da parte dell’impresa, la quale dopo aver emesso la fattura (e chissà quando riuscirà a incassarla), dovrà anche preoccuparsi di riscuotere l’Iva direttamente dall’Erario (trimestralmente o annualmente) senza poterla compensare con altri acquisti di beni o servizi. E così, ai tempi lunghi del saldo delle commesse da parte della Pubblica amministrazione, si aggiungono quelli del rimborso dell’Iva, con buona pace dello stato di salute finanziaria che finirà inevitabilmente per rimetterci. Non proprio una bella mossa – protestano le piccole e medie imprese – per chi si riempie la bocca con slogan sulla lotta alla burocrazia salvo poi introdurre una nuova complicazione per le imprese. D’altronde, è il concetto stesso di “scissione” a prevedere un appesantimento delle procedure: quel che prima si faceva in un solo momento, adesso lo si deve fare in due.
(Fonte: formiche.net – ance.it)
