Tutelare le prestazioni professionali di tutta la filiera delle costruzioni è sempre stato un atroce dilemma. Se ne torna a parlare, magari è la volta buona.
Attingendo a una insolita fonte di saggezza, e in qualche modo scoprendo l’acqua calda, un politico (non conta il colore, parliamo dell’idea) vuole portare avanti una proposta di legge che “al momento del rilascio dell’atto autorizzativo in materia di edilizia e urbanistica, il professionista dichiari anche che le sue prestazioni sono state economicamente soddisfatte”.
Che tradotto suona più o meno così: vai avanti a costruire o ristrutturare, eccetera, se hai pagato il progettista. Diversamente, non hai l’autorizzazione a procedere.
Il tema è caldo da circa una cinquantina d’anni, i Francesi l’hanno risolto più o meno allo stesso modo una ventina di anni fa, e chissà quanti altri. Il tema caldo è quello della tutela del credito, uno dei malanni più gravi che attanagliano il settore, distribuzione compresa. Eppure, in fondo non ci vuole molto, si tratta tra l’altro di affermare un diritto, non un capriccio.
Allo stesso modo, un’impresa non può vendere le case che costruisce se prima non ha pagato i fornitori. Un rivenditore non è più fornibile se non ha saldato i suoi debiti con i produttori (cosa che del resto già avviene). Il fatto poi che facciano fede le fatture, sarebbe anche un bello smacco per il nero imperante. Insomma, volendo si può, e ci si domanda spesso perché, per una volta, non possa trionfare il buonsenso. Così, tanto per cambiare.
